Festa della Repubblica

La festa che celebra la nostra Repubblica cade, quest’anno, in un tempo particolarmente turbolento in cui il sentimento pubblico generale nella sua globalità e complessità viene rifiutato e calpestato come un'insopportabile anticaglia. Prevale un'esaltazione spasmodica è paradossale dell'IO personale o di gruppo con conseguenze incerte, imprevedibili per nulla rassicuranti. Il nostro passato è come non fosse mai stato se non per essere ricordato in negativo, la democrazia parlamentare che ci ha garantito 70 anni di pace e benessere è banalizzata e sostituita da una gestione confusa e mercantilistica del consenso, gli Istituti che la Costituzione ha posto a garanzia della libertà di tutti e di ciascuno sono apertamente contestati, la solidarietà di gruppo e il vecchio vocabolario morale dei diritti e doveri con la loro capacità di strutturare la vita umana in società ha ceduto il passo ad un individualismo cannibalesco. Si registra l'avanzare di macabri termini come: negri, profughi, respingimenti, sottobosco umano e, a volte, riemerge anche il termine “razza”. Noi vogliamo celebrare la festa della Repubblica pensando al monito di Primo Levi “RICORDATE CHE QUESTO È STATO” e fare memoria di quelle Leggi Razziali di 80 anni fa (1938/2018) secondo le quali la razza umana non è unica ma costituita da razze superiori e altre inferiori e di che cosa avvenne anche nella nostra provincia.

A tale proposito vi proponiamo di questo articolo a firma di Fausta Messa,

A 80 anni dalle Leggi Razziali: la loro applicazione in provincia di Sondrio  

La provincia di Sondrio non è mai stata luogo di attrazione per le famiglie di religione ebraica, in quanto caratterizzata da un’economia prevalentemente agro-pastorale, con un settore secondario e terziario limitatissimo. All’epoca della costruzione delle grandi dighe ci furono ingegneri ebrei occupati nella direzione dei lavori (Augusto Foa’ e Ferrari per la Falck), e numericamente significativa fu la presenza di medici ebrei negli ospedali (Muggia allo Psichiatrico, Manlio Piazza al Civile) e diversi medici ebrei italiani e stranieri operanti come tisiologi nei sanatori (Bianca Morpurgo e Sofia Shafranow all’Alpina). A Madesimo, in Valchiavenna era confinato l’on. Mondolfo. Il censimento segreto del ’38 rivelò che in provincia di Sondrio erano residenti solo 15 ebrei, così l’organo del Partito Fascista “Il Popolo Valtellinese” poté scrivere sguaiatamente che la razza valtellinese era esente dalla tabe ebraica! Di seguito, ogni anno avvenne un aggiornamento dell’anagrafe che segnalava il passaggio di pochi individui di religione ebraica che venivano continuamente monitorati dalla Questura. Seguì tutto l’iter previsto dalle Leggi Razziali, con raccomandate segretissime tra Prefettura, Questura ed enti locali, anche se in provincia la presenza di ebrei era quasi inesistente.   Nel ’42 arrivarono all’Aprica circa 300 ebrei provenienti da Zagabria, nella condizione di “confinati liberi”, dove vissero indisturbati fino all’8 settembre del ’43, quando, con l’aiuto di carabinieri, guardia di finanza, sacerdoti e passatori, riuscirono ad andare in Svizzera. Di questi fatti sappiamo ormai tutto con certezza dalla ricostruzione di Alan Poletti, il ricercatore neozelandese di origini valtellinesi, che ha descritto la vicenda nel suo libro A second life. Aprica to salvation in Switzerland 1943, utilizzando documenti d’archivio italiani e svizzeri e testimonianze di sopravvissuti. Nel 2009 e poi nel 2013 alcuni testimoni, tra cui Vera Neufeld e Branco Gavrin, sono tornati in Valtellina ed hanno percorso con tanti studenti e amici uno dei “sentieri della salvezza” che da Tirano portavano e portano tuttora in Svizzera. Dopo l’8 settembre ’43 ci fu un continuo afflusso di intere famiglie ebraiche che tentavano di attraversare il confine passando dal Maloja (Valchiavenna), dal passo del Muretto (Val Malenco), dal Col D’Anzana sopra Bianzone o attraverso i sentieri che dal tiranese portavano nella Confederazione elvetica, oppure dal bormiese. Arrivavano in treno e generalmente trovavano i passatori alla stazione che, nottetempo, li guidavano, dietro pagamento, sui ripidi sentieri di montagna. I contatti erano organizzati attraverso la Delasem e la “catena partigiana”, che comprendeva carabinieri, guardia di finanza, sacerdoti e passatori, come per gli ebrei dell’Aprica. Come in tutte le province d’Italia, anche a Sondrio venne predisposto un Campo di Concentramento per ebrei, utilizzando un edificio di proprietà del Comune, attualmente sede dell’ASL. In realtà per le detenzioni vennero utilizzate le carceri locali situate in via Caimi, in quanto ci fu un lungo contenzioso tra Comune e Provincia su chi dovesse accollarsi le spese di allestimento. Il tutto è documentato dalle delibere comunali.  Purtroppo ci furono episodi di delazione, in particolare nel dicembre del ’43, quando vennero arrestati 55 ebrei, donne uomini e bambini provenienti da diverse città italiane, che tentavano di passare il confine. Per delazione vennero arrestate anche le due dottoresse che lavoravano al sanatorio dell’Alpina (Bianca Morpurgo e Sofia Shafranow) e le loro famiglie che risiedevano a Tresivio (la vecchia madre di Sofia e le tre sorelle più i genitori di Bianca che morirono tutti ad Auschwitz). A Chiavenna vennero arrestati 11 ebrei che facevano parte di tre nuclei familiari e vennero messi a disposizione del Comando germanico dal prefetto Rino Parenti, che ben sapeva a quale destino sarebbero andati incontro.  Lo stesso Rino Parenti fece arrestare a Bormio l’industriale milanese Norsa, che abitualmente trascorreva le vacanze nella località turistica valtellinese, gli sequestrò la Ford argentata su cui poi si faceva trasportare da una località all’altra della Valtellina. Rino Parenti conosceva bene Norsa, al cui servizio era stato negli anni trenta in qualità di autista, e non esitò a mandarlo a morire ad Aushwitz. (Notizie avute dalla figlia di Norsa). A Ponte venne arrestata Angela Todesco, tradita dai passatori che già l’avevano derubata; morì a Buchenwald. Dopo la guerra ci fu un processo contro i tre passatori, che furono assolti per non aver compiuto il fatto. A Bormio venne arrestata la famiglia Salmoni (padre, madre, figlia e due figli maschi) assieme alle due guide alpine che li stavano aiutando a passare il confine. Queste e i due ragazzi si salvarono, gli altri componenti furono tutti uccisi ad Auschwitz. Fu proprio Gilberto Salmoni, il 21 novembre 2000, ad inaugurare il monumento che ricorda la Shoah valtellinese al Campo della Rimembranza, dove tante formelle infilate, a formare la sagoma di un treno, riportano il nome e le date di nascita e di morte di tutti gli ebrei che furono arrestati in provincia di Sondrio e trovarono la morte nei campi di sterminio nazisti. L’erezione del monumento fu promossa dal Comitato Provinciale Antifascista, su forte richiesta di Ferruccio Scala, studioso locale e già direttore de Il Lavoratore valtellinese.   Guardando i dati anagrafici, si vede come le persone arrestate appartenessero a tutte le età, con prevalenza di anziani e bambini. Tra i più piccoli, ricordiamo Sara Gesess, di sei anni e Sissel Vogelmann, di 8 anni, uccise entrambe ad Auschwitz. Come motivo di speranza, ricordiamo anche la piccola Regina Zimet, salvata assieme ai genitori da una povera famiglia di contadini di Campovico, che tenne nascosti i tre ebrei per sedici mesi, dividendo con loro il poco che c’era. Giovanni e Mariangela Della Nave sono ora ricordati tra i Giusti a Gerusalemme. 

Redazione